Come l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo di intendere la scrittura

By Riccardo Piazza Giu 23, 2025

Fino a qualche anno fa, chi parlava di scrittori artificiali veniva guardato con scetticismo, quando non con condiscendenza. Oggi, nel 2025, ci ritroviamo a leggere libri interamente generati da IA, presentati in conferenze accademiche, venduti sugli store online, talvolta anche recensiti senza che nessuno si accorga che dietro quelle pagine non c’è nessun cuore che batte. Solo un codice.

L’Università di Padova ha scritto un libro in tre ore grazie all’IA. Tre ore. Non riesco nemmeno a leggere le mail in tre ore, figurarsi un libro. Eppure è accaduto. Non come provocazione, ma come esperimento reale, condiviso con studenti e docenti. In parallelo, molte piattaforme editoriali si stanno popolando di autori “fantasma” che pubblicano opere completamente automatizzate, perfettamente impacchettate per il mercato. Se vendono o meno è un altro discorso, ma esistono, sono lì, in mezzo a noi.

È il segno che qualcosa sta cambiando. Non solo come si scrive, ma cosa intendiamo oggi per scrittura.

Scrivere con l’IA: occasione o scorciatoia?

Ci sono aspetti positivi, certo. Un’IA può essere un supporto creativo, uno sparring partner per superare il blocco dello scrittore, un generatore di idee o un redattore infaticabile. Ti butta giù una bozza, ti suggerisce titoli, ti riscrive una quarta di copertina in quattro stili diversi. È utile, veloce e soprattutto – per la gioia dei datori – non ha bisogno di ferie.

Ma quante ombre hanno queste scorciatoie? 

L’illusione della produttività e l’omologazione dei contenuti

Viviamo in un’epoca in cui il valore di un testo sembra misurarsi più in velocità che in profondità. L’IA si inserisce perfettamente in questo sistema, perché produce. Produce tanto. E noi, schiacciati dalla fame di contenuti, rischiamo di accettare testi ben scritti ma vuoti e storie ben costruite ma tutte uguali.

Il problema non è l’IA in sé, ma il contesto in cui la stiamo usando. Stiamo riempiendo la rete di libri generati per accumulare royalties, articoli fatti per intercettare algoritmi, copy sempre più ottimizzati e sempre meno umani. E nel frattempo, ci lamentiamo che i lettori non leggono più. Forse non leggono perché non trovano più voci vere.

Etichette, bollini e la nostalgia dell’autenticità

Alcuni editori hanno iniziato a mettere il bollino Human Authored, per garantire che dietro ogni parola ci sia una persona vera. Una trovata commerciale? Forse. Ma anche il sintomo di un disagio reale: la nostalgia per un’epoca in cui si sapeva che scrivere significava faticare, perdersi, rivedere, cancellare. Oggi, invece, se un libro non piace, si rigenera.

La domanda che dovremmo farci non è “l’IA scrive meglio o peggio di noi?”, ma: “che cosa perdiamo se smettiamo di scrivere davvero?”. Non in termini di stile o grammatica, ma di relazione con il pensiero, con il tempo, con gli altri. Scrivere non è solo comunicare, è esistere attraverso le parole. Ed è qui che l’intelligenza artificiale, per quanto avanzata, mostra i suoi limiti.

Il futuro? 

Non credo che l’IA debba essere demonizzata. Ma nemmeno idolatrata. È un mezzo, non un fine. È un martello, non una casa. Può aiutarci a costruire, ma non decide cosa vale la pena costruire.

Il futuro della scrittura sarà ibrido, sicuramente. L’importante è che resti umano. Che dietro ogni progetto, anche il più tecnologico, ci sia un’idea che nasce da una necessità reale, da un’emozione, da un’urgenza. Che ci sia, insomma, qualcuno che ha ancora qualcosa da dire. Non solo qualcosa da pubblicare.

By Riccardo Piazza

Libraio, Presidente e caporedattore. Grazie alle mie due lauree...

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