L’arte della gioia è il romanzo postumo della scrittrice italiana Goliarda Sapienza. Un romanzo complesso, con una storia editoriale allo stesso modo complicata. 

Completato nel 1976, fu rifiutato dai principali editori italiani come Rizzoli e Einaudi. L’opera rimase per ben vent’anni nella cassapanca dello scrittore e ex-coniuge della scrittrice Angelo Pellegrino, fino al 1998 quando decise di pubblicare un migliaio di esemplari per i tipi di Stampa Alternativa fino ad ottenere una ristampa più sostanziosa nel 2003. L’unica spiegazione plausibile che giustificherebbe i rifiuti ricevuti è che il mercato editoriale italiano degli anni Settanta non era assolutamente pronto per la pubblicazione di una storia così sovversiva come quella di Modesta. 

Nel romanzo, tutto ruota intorno alla figura di una carusa tosta che nasce il primo gennaio del 1900 in una casa povera, in una terra ancora più povera, la “Chiana del Bove”, ai piedi dell’Etna. Ma fin da bambina, Modesta sa di non appartenere a quella terra, lei sogna il mare blu come gli occhi dell’amico Tuzzu, così lontano e inarrivabile, ma che riuscirà, presto, a raggiungere. 

Ho fatto bene a rubare, sempre, la mia parte di gioia a tutto e a tutti, scrive Sapienza nei suoi taccuini. La stessa frase apre il racconto iniziale della Serie Tv dell’attrice e regista Valeria Golino, L’arte della gioia tratta dall’omonimo romanzo. Presentata al Festival di Cannes 2024, la prima parte è già arrivata al cinema il 30 maggio, mentre la seconda parte uscirà il 13 giugno e, prossimamente, sarà disponibile su Sky e Now Tv. 

Al Salone Internazionale del Libro di Torino, Golino racconta di aver letto il libro di Goliarda Sapienza vent’anni dopo averla incontrata, definendo il romanzo e la sua esperienza di lettura come anfibologica, che cambia il lettore così come cambia il personaggio. Infatti, ciò che rende questo romanzo complicato è il suo essere tutto e nulla, l’impossibilità a classificarlo e, allo stesso tempo, la possibilità di essere un romanzo di formazione, un romanzo sociale e politico e, infine, un romanzo femminista. 

In una lunga lettera all’amico Enzo Siciliano in cui si parla molto di gioia, Sapienza scrive: 

[…] Le donne – come tu sai – sono il mio pianeta e la mia ricerca, il mio unico “partito” e forse, oltre all’amicizia, il mio unico scopo della vita. Ti dico questo perché tu capisca la mia gioia. È stato duro per me – in questi ultimi dieci anni – assistere all’insano neofitismo che come un veleno (sicuramente instillato dal potere: dividere l’uomo dalla donna per sconfiggerli entrambi, tecnica antica usata anche per le razze, i lavoratori ecc.), mi costringeva a contrastarle dentro e fuori di me. Sempre lotterò per l’amicizia fra l’uomo e la donna, pianeti così diversi e così simili, bisognosi l’uno della diversità dell’altro.

Una testimonianza della gioia che Goliarda Sapienza provava per Modesta, e della gioia di quest’ultima nell’essere scabrosa, anticonformista, una creatura da un profondo erotismo nei confronti degli uomini, delle donne e della vita. La sua sessualità libera e contradditoria ci riporta al senso unico e carnale dell’eros, nient’altro che emozione pura lontana da qualsiasi tipo di moralità. 

Modesta, nata il primo gennaio del 1900, attraversa la storia del suo secolo ed è il tentativo dell’autrice di mostrare la vita di questa generazione a partire dal punto di vista di un personaggio femminile non conforme alla narrativa sociale della Sicilia del primo Novecento.

È qui la gioia rubata dall’autrice e dalla sua protagonista: è una gioia rubata da chiunque le ruotasse attorno; una gioia che deriva dalle parti più irriverenti e oscure della natura femminile e umana. Chi non l’ha mai fatto? Chi non ha mai rubato un’emozione, una sensazione? Nell’arte si ruba tutto, si cerca di prendere il più possibile dal mondo reale per introdurlo nel mondo personale e poi, di nuovo, restituirlo al mondo fuori. 

Il romanzo è un elogio alla gioia del sapere, del disordine, del timore che può provocare una donna fuori dalle convenzioni sociali. Modesta non è un’eroina, al contrario, quello che fa è oscuro, amorale, eppure, la sua gioia arriva, potente e coinvolgente.

Questa stessa potenza è arrivata con la giovanissima attrice Tecla Insolia che è riuscita a rimandare sullo schermo la stessa immoralità e forza erotica della protagonista del romanzo. 

La serie è divisa in sei episodi e traccia solo la prima parte del romanzo. Un lavoro di scrittura che ha impegnato la regista per quasi cinque anni, in quanto difficile da strutturare e fornire un tono adeguato. Questo spiegherebbe la scelta di farne una miniserie e non un film, poiché la serie ha un’orizzontalità che permette di sviluppare i temi e i significati più lentamente, in modo tale da ottenere la stessa necessità di precisione, ma diluita nel tempo. 

Un lavoro di Valeria Golino che sicuramente non deluderà i lettori e le lettrici del romanzo con un cast che ha “rubato” perfettamente i personaggi del romanzo, da Tecla Insolia, a Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi e Alma Noce.

Le sensazioni che sia lettura che la rivisitazione cinematografica lasciano a chi si lascia trasportare da questa storia sono sia quella di odio che di ammirazione per questa giovane donna. Tutto è incentrato sul desiderio di scoprire e di sapere, mossi da una curiosità infinita per il mondo interiore ed esteriore priva di qualsiasi senso di colpa, anzi una curiosità scaturita da un odio profondo. 

È l’odio che tiene in vita Modesta nel convento e nel rapporto con la Madre Superiora Eleonora, io odio, io ti odio! sono le grida che traversano i corridoi del convento. Mody è un personaggio con un profondo desiderio di amare ed essere amata che incarna anche la gioia di odiare, di distruggere, di morire e di rinascere. 

L’arte della gioia è questo: un romanzo sul desiderio puro di essere e divenire a qualunque costo. È un romanzo sulla gioia rubata, una gioia anarchica che non segue alcuna legge sociale, ma solo quella che deriva dalle viscere più profonde dell’essere umano.


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