Il pubblico contemporaneo è alla continua ricerca di effetti spettacolari, immagini suggestive e narrazioni avvincenti, spesso complesse e originali.  

Il graphic novel incarna da questo punto di vista la formula perfetta, offrendo un connubio tra storia coinvolgente e immagine evocativa, un ibrido tra lettura e visione, che richiede al fruitore sforzo di immaginazione e sospensione del giudizio, conducendolo verso la totale immersione in un universo dove parole e immagini condividono lo stesso spazio, lo stesso linguaggio. 

Non sorprende quindi che proprio il graphic novel sia diventato negli ultimi anni una delle principali fonti di ispirazione per il cinema e per la TV. Un esempio emblematico nel panorama attuale è sicuramente il caso di Simon Stålenhag, artista e designer svedese, le cui recenti opere sono venute all’attenzione di grandi case di produzione come Netflix e Amazon Prime. 

The Electric State 

Il prodotto cinematografico più discusso nell’ultimo periodo è sicuramente The Electric State, diretto dai fratelli Russo e reso disponibile in streaming dal 14 marzo.  

Oggetto di una vastissima campagna di marketing che lo promuove come il più costoso della storia Netflix, il film è condito da un cast stellare, tra cui figurano Millie Bobby Brown (resa celebre dalla serie Stranger Things, grande successo della stessa piattaforma) e Chris Pratt in prima linea. Tra i personaggi secondari figurano altri nomi di spicco come Giancarlo Esposito (che abbiamo visto brillare in franchise come Star Wars) e il premio Oscar Ke Huy Quan.  

Il film è un adattamento dell’omonimo graphic novel di Stålenhag, pubblicato nel 2018. Come cifra distintiva dell’artista, la storia ha un’ambientazione retro-futuristica, ambientata in un 1994 alternativo in cui robot e tecnologia avanzata non solo esistono ma hanno già messo in atto una ribellione contro il genere umano, terminata tuttavia in un fallimento e nella completa perdita di fiducia delle persone nei confronti dei robot. Rimanendo fedele all’opera originale, la pellicola è ambientata dopo il disastroso conflitto tra umani e droidi e segue la storia di Michelle, una ragazza orfana che compie un viaggio attraverso i desolanti scenari di un terreno devastato dalla guerra.  

Nonostante le premesse il film ha ricevuto diverse recensioni negative da parte della critica e, a ben vedere, storia e personaggi non sembrano soddisfare appieno le aspettative. Una trama che non brilla esattamente per inventiva e dei personaggi che somigliano più a figure unidimensionali da videogioco che a persone reali contribuiscono a lasciare una sensazione di amaro in bocca, per quello che poteva essere un traguardo storico e che invece ha più il sentore di un’occasione sprecata.  

Ci sono comunque due note positive: il rapporto tra Michelle e il fratellino Christopher (forse l’unico elemento che sembra restituire un po’ di colore umano a una narrazione che prosegue fin troppo veloce e sterile) e gli effetti visivi che, grazie al sontuoso budget di 320 milioni di dollari, offrono un setting fedele al concept originale, catturando l’essenza dell’opera di Stålenhag. La sua arte è pura evasione, racconto onirico che trascende spazio e tempo. In questo il film riesce a fare il suo, restituendoci un’atmosfera sognante, un viaggio in una realtà che è allo stesso tempo fiabesca e tangibile. 

Tales From the Loop 

Un primo tentativo di portare sullo schermo le opere di Stålenhag era già stato compiuto da un’altra big company. Parliamo di Amazon Prime Video che ad aprile del 2020, nel pieno della pandemia, decide di lanciare Tales from the loop, serie televisiva di otto puntate che adatta una serie di racconti illustrati risalenti al 2017.  

La serie nasce sicuramente con meno pretese del film, seppur con l’intento per nulla modesto di rispondere alla concorrenza di Netflix che in quel periodo dominava il mercato con la fantascienza di Dark e del già citato Stranger Things. Tales from the loop non ha goduto della stessa fortuna in termini di ascolti (al punto che il progetto è stato cancellato dopo appena una stagione) ma nonostante questo rimane una delle iniziative più interessanti per ciò che riguarda la trasposizione di un graphic novel in prodotto televisivo. Conservando e amplificando il tratto poetico ed evocativo delle illustrazioni di Stålenhag, Tales from the loop non inciampa infatti nei limiti di The Electric State e offre al pubblico una sequenza di storie, autoconclusive ma interconnesse, che attraverso un’ambientazione surreale ed elementi fantastici racconta vicende squisitamente umane.  

Vita, morte e destino. Amore, amicizia e famiglia. Sono questi alcuni dei temi portanti della serie che coinvolge una serie di personaggi le cui vicende quotidiane vengono stravolte dalla presenza del Loop, un acceleratore di particelle situato nelle profondità del sottosuolo. L’elemento fantascientifico che scuote la narrazione è quasi un motore invisibile, le cui tracce si mescolano al paesaggio ma si riflettono soprattutto sulle vite dei protagonisti portandoli a scontrarsi con il rimpianto, la perdita, il lutto, la necessità di cambiare e l’inesorabile scorrere del tempo.  

In conclusione, potremmo dire che The Electric State tenta di stupire lo spettatore con effetti speciali, il potere visivo delle immagini e un cast mirabolante, offrendo una storia vivace che cerca di creare un’esperienza cinematografica scoppiettante e perché no, divertente. Tales from the loop muove invece in una direzione opposta, forse più coraggiosa: nei racconti il tempo si ferma, l’affanno della corsa e del viaggio cedono il posto alla riflessione, all’esplorazione cauta di ciò che vive intorno e dentro i personaggi.  

Se il film di Netflix è orientato ad una logica di immersione dello spettatore, la serie di Prime è il trionfo dell’evasione, finalizzata al recupero del lato umano, sentimentale ed emotivo. 


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